Mediobanca e le aziende alimentari del Gruppo Fidia: Bertolli, Cora, De Rica e Samis.
- Curatore: Taddeo Molino Lova
- Publication year: 2022
- Publication place: Milano
- ISBN: 978-88-941053-4-6
Presentazione - di Renato Pagliaro
Questo secondo volume di fonti dell’archivio storico “Vincenzo Maranghi” rende disponibile un complesso di documenti che si riferiscono alle vicende di un gruppo di società alimentari possedute dalla holding Fidia, società nata nel 1959, controllata dai maggiori gruppi industriali privati italiani.
La Fidia avrebbe dovuto essere un importante tassello della visione strategica di Cuccia che mirava a promuovere anche in Italia un capitalismo “atlantico”, basato sul collocamento dei titoli in Borsa ma che, per una serie di circostanze legate alla caduta delle quotazioni di Borsa, non ebbe fortuna.
Dato l’esito ci si potrebbe quindi chiedere quale sia lo scopo di renderle note fin nei minimi dettagli. L’esperienza insegna che – come nel caso Olivetti – le pratiche più corpose e dettagliate erano proprio quelle che avevano presentato i maggiori problemi. Un affare che si concluda brillantemente, rapidamente e con buon profitto, lascia le sue tracce nel conto economico ma negli archivi rimane ben poco. La Banca prospera su questo tipo di affari, ma nel suo archivio le tracce maggiori sono quelle delle vicende più complesse e problematiche, anche se non finite in “contenzioso”. Testimoniano una cultura aziendale incentrata sulla cura assidua di tutte le risorse affidatele, a prescindere dalla loro dimensione.
Si tratta di fonti uniche per la storia d’impresa, in grado di raccontare oggi gli albori di un complesso progetto industriale che arriva fino a noi. L’Archivio Storico di Mediobanca racconta anche questo, lungi dall’intento di celebrare i propri successi o di alimentare dei miti, di impresa o di persona. Mediobanca, conscia di aver giocato un ruolo importante e per molti anni unico nel “sistema paese” Italia, si propone che questo patrimonio di esperienza, ormai sedimentato nelle carte, possa divenire patrimonio comune.
Le vicende della Fidia e delle sue controllate, che sarebbero salite agli onori della cronaca nei successivi anni Settanta e Ottanta, sono significative per chiarire una questione che si pose in Italia fra la fine degli anni cinquanta e gli anni sessanta e che ha condizionato il successivo sviluppo delle imprese italiane.
L’intenso e tumultuoso processo di sviluppo economico degli anni della ricostruzione aveva visto in molti settori una crescita straordinaria di imprese di origine familiare, che nel giro di pochi anni avevano raggiunto dimensioni significative per livelli di fatturato e occupazione e, sovente, quote consistenti di fatturato destinate all’esportazione. Per queste imprese appariva, almeno dal punto di vista teorico, ormai indispensabile procedere a una moderna strutturazione dell’organizzazione produttiva, dell’assetto finanziario e, in molti casi, di quello azionario.
In sostanza emergeva l’opportunità di determinare un salto di qualità nelle strutture del capitalismo italiano, chiamato a confrontarsi con mercati esteri nei quali operavano gruppi di maggiori dimensioni. Questi avevano maggiori capacità finanziarie ed erano quindi in grado di resistere alla concorrenza portata sui loro mercati delle imprese italiane, e di penetrare a loro volta nel mercato italiano, che ormai cominciava ad assumere i contorni di un moderno mercato di beni di consumo.
In questo senso, l’esame del caso Fidia mette in luce lucide visioni di mercato anticipatrici dei promotori, cui sono seguite però evidenti difficoltà realizzative. Tra le prime, il ricorso a capitale privato per promuovere un progetto di sviluppo imperniato anche su acquisizioni (Private Equity ante litteram) e i settori industriali selezionati (alimentare, vino e bevande alcoliche, turismo) che nei lustri successivi avrebbero assicurato soddisfazioni straordinarie alle imprese in essi operanti.
Tra le difficoltà realizzative emerge invece con chiarezza un limite che ostacola tuttora lo sviluppo dell’industria italiana e cioè la difficoltà a dar vita a strutture manageriali in grado di competere con successo rispetto a realtà guidate da imprenditori. Lo testimonia nel caso in esame il susseguirsi di dimissioni, assunzioni, avvicendamenti al vertice delle principali aziende del gruppo Fidia.
Un secondo limite che si intravede in filigrana è una eccessiva fiducia, osservabile in generale nell’industria italiana sino ai primi anni ‘80, nel vantaggio competitivo rappresentato da maggiori investimenti in impianti e attrezzature, tendendo così a sottovalutare gli altri numerosi fattori che determinano il valore aggiunto di una azienda (mercato, innovazione, politica dei prezzi, acquisti, costo del lavoro, efficienza operativa ecc).
Nel complesso, risultati gestionali insoddisfacenti, strutture patrimoniali caratterizzate da investimenti parzialmente finanziati a debito e peggioramento delle condizioni congiunturali hanno condotto ad un sostanziale abbandono del progetto.
I marchi che il lettore troverà durante la lettura dei documenti sono notissimi e – caso raro negli archivi bancari – hanno una ricca e godibile documentazione di immagini pubblicitarie. Poiché si tratta di una pubblicazione bancaria, nell’opera si troverà anche un vasto apparato di calcoli e tabelle sulle produzioni delle imprese e sui loro risultati economici. Queste evidenzieranno una realtà meno brillante di quella della pubblicità, ma si tratta di dati reali, dei quali è sempre necessario prendere atto.
Questo gruppo di operazioni si concluse come noto con risultati tutt’altro che brillanti ma la ricca documentazione sulla molteplicità degli affari, gli impianti industriali, la lavorazione e il confezionamento dei prodotti e il loro collocamento sul mercato, gli assetti manageriali hanno molto da insegnarci ancora oggi.
I documenti dell'Archivio storico
Fonti uniche per la storia economica e finanziaria del paese.

La presentazione del libro
Il volume è stato presentato il 20 gennaio 2022 durante la 4° edizione della Mediobanca Mid Cap Conference .